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il dolce egoismo 223


Anche Luciana Ausoni non aveva parenti, e il suo tutore, un vecchio magistrato a riposo, celibe, egoista ed avaro, si scordava volontieri di quella lontana nipote che per una sequela di morti e di sventure familiari gli era piombata d’un tratto su le braccia. Poche volte durante la malattia di Luciana la faccia fosca del tutore s’era chinata sul suo guanciale, ma, subito dopo, la febbre e il delirio l’avevano riafferrata più aspri, offrendo così al vecchio un eccellente pretesto per non più ritornare.

Ora Luciana si sentiva di giorno in giorno guarire e l’anima un poco soffriva di questa rifioritura del corpo. Soffriva di sentirsi riprendere dalla vita che le riappariva ora così bella di dolcezze e di promesse per disingannarla dopo più crudelmente. Con la guarigione l’attendeva ancora la casa del vecchio tutore gelida e muta, la compagnia d’una governante gretta e arcigna e i giorni eguali, le notti inquiete, gli inutili sogni.

L’infermiera loquace riferì un giorno ridendo ad Ugo Franti, il ferito, che la signorina della stanza attigua chiedeva sue notizie con una straordinaria frequenza, e il domani soggiunse ch’ella passava ore ed ore nel giardino a contemplare la sua finestra. Il giorno seguente il dottor Selvi incitò vivamente il convalescente a lasciare la sua camera, lo accompagnò egli stesso all’aperto,