Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
206 | andante appassionato |
giunse — ma ho bisogno, ho bisogno di vederla, non me lo neghi, dottore. È una sofferenza inutile, lo so: od è forse un’inutile espiazione, ma bisogna che io la veda prima di andarmene per sempre.
Il medico abbassò il capo in un cenno di forzato assentimento e lo precedette per un lungo corridoio fiancheggiato da porte numerate. All’ultima si fermò, aprì senza rumore un battente, scostò una portiera, vi aperse uno spiraglio, gli disse: — Eccola.
Evelina sedeva sopra una poltroncina di vimini presso la finestra e leggeva. Dalla sua leggera vestaglia bianca emergeva nudo il lungo collo e si profilava incontro alla luce la delicata testa reclina. Parve sentire lo sguardo che la fissava perchè volse in giro gli occhi come per un indefinibile turbamento e li fermò sulla porta. Allora Leo Carmine potè vederla in volto. Era quella la creatura emaciata, sfinita, demente che egli credeva di ritrovare? No, quella era la sua Evelina di un tempo, il suo amore di giovinezza, coi suoi larghi occhi azzurri, la pelle diafana, la bocca rosea, l’esile persona tutta fremiti e palpiti. Chi gli aveva detto che ella era mutata? Perchè gli avevano mentito? No, era sempre lei, come l’aveva lasciata partendo, come l’aveva sognata lontano.
— Già le dissi che in due mesi ella ha fatto miracoli; — susurrava al suo orecchio