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196 andante appassionato

piangeva. Erano i ritratti di suo cugino Leo Carmine.

Evelina e Leo Carmine s’erano ardentemente amati sei anni prima quando il giovine, mezzo rovinato da un padre prodigo, tentava di sistemarne l’imbrogliatissima eredità amministrando egli stesso i suoi beni e facendo intanto con gaia disinvoltura e con grazia galante il signorotto campagnuolo.

Nessuno sapeva fino a qual punto li avesse trascinati la tumultuosa passione e si susurrava che la piccola gradinata della terrazza fosse stata bene spesso galeotta e pronuba di quell’amore in certe notti senza luna. Ma quasi all’improvviso, mentre Evelina sognava ed aspettava le nozze, Leo era partito per l’America del nord, dove certi suoi lontani congiunti lo avevano chiamato, offrendogli nella costruzione di un loro tronco di ferrovia un posto di fiducia, il quale lo doveva arricchire in meno d’un paio d’anni. Senonchè gli anni s’erano moltiplicati, le lettere d’amore diminuite e poi cessate, le speranze d’Evelina cadute, ed a poco a poco la sua passione s’era esaltata in una specie di monomania amorosa, la quale presentava talvolta tutte le morbose caratteristiche di una leggera demenza.

Valeria Carmine non amava la sorellastra e non la compiangeva; la invidiava forse per quel romanzo fervido da lei vissuto quan-