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182 è scritto nel destino


Il domani egli telegrafò: «Infinite grazie: verrò certamente».

Partirono in un treno affollato, pieno di caldo e di odori grevi, ma a poco a poco quasi tutti i passeggieri discesero, e giunta la sera non rimasero nello scompartimento che le due signore. Viaggiavano da oltre sette ore quando giunsero nella città che Ugo Leardi abitava, e mentre il treno si fermava Enza, affacciata allo sportello, lo vide uscire dalla sala d’aspetto, venirle incontro con un sorriso. Ella gli porse l’astuccio d’oro che Ugo intascò con un «grazie» distratto e chinandosi tutta verso di lui gli disse, quasi in soffio:

— Vorrei parlarti.

— Quando? — egli domandò corrugando la fronte.

— Anche subito, — ella rispose, perplessa, temendo di spiacergli.

— Allora discendi, — egli concluse calmo, aprendo lo sportello.

Enza pregò rapidamente la cugina di scusarla presso la contessa Lanzi e d’avvertirla che sarebbe giunta il domani. Poi discese e un momento dopo, seduta in una carrozza al fianco di Ugo, ella gli si stringeva al fianco tremando, come una povera bestiola che avesse ritrovato finalmente il suo padrone.

Con dolcezza egli le domandò: — Che vuoi dirmi, Enza?