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è scritto nel destino 181

compagnie per lasciarle godere e soffrire in segreto la sua passione e la sua schiavitù. Ora quella schiavitù dalla quale si era a forza liberata le pareva necessaria alla sua vita, la sentiva il compimento ed il fine di essa. Ella si paragonava ad uno di quegli uccelletti vissuti lungamente in gabbia i quali, quando s’apre la porta della loro prigione, non sanno più volare lontano e vi ritornano smarriti, pigolando, quasi implorando d’esservi ancora rinchiusi.

Già parecchie settimane erano trascorse in queste affannose inquietudini, quando un giorno sua cugina l’avvertì che una loro comune parente, la contessa Lanzi, le invitava a passare un mese in una sua grandiosa villa dov’ella esercitava la più amabile ospitalità.

Enza riflettè un momento. Sapeva che per giungere a Villa Lanzi occorreva passare nella città che Ugo abitava e pensò che ella avrebbe potuto vederlo al passaggio; aveva per ciò un pretesto plausibilissimo, quello di riconsegnargli il prezioso oggetto smarrito. Disse alla cugina che accettava l’invito ed insieme stabilirono di partire tre giorni dopo.

Ella mandò la sera stessa ad Ugo una lettera-telegramma in cui lo informava laconicamente delle sue decisioni e lo pregava di venire a ritirare alla stazione il portasigarette dimenticato nel suo sleeping.