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è scritto nel destino 177


Enza tornò lentamente alla sua cabina, vi si rinchiuse e s’abbandonò inerte sulla cuccetta. Qualche cosa di freddo l’urtò al viso: era il portasigarette d’oro di Ugo che egli aveva dimenticato nell’accomiatarsi. Ella lo prese, lo considerò a lungo e sospirò, afferrata d’un tratto da un senso confuso di nostalgia e di malinconia. Ecco l’unica cosa che le rimaneva di lui, un freddo oggetto scordato per distrazione e ch’ella gli avrebbe alla prima occasione rimandato. Lo rinchiuse nella sua borsetta e incominciò adagio a spogliarsi, cullata senza posa dall’ondeggiare del treno. Infilò una lunga camicia da notte in seta viola, girò la chiavetta della luce e si distese aspettando il sonno. Ma il sonno non venne, il sonno esulò lontano dai suoi occhi stanchi, spalancati nel buio e per tutta la notte, chiusa in quella prigione fuggente ella non ebbe che un pensiero, un ricordo, un rimpianto: Ugo, Ugo, Ugo. Dov’era? Che faceva? Che pensava? Dormiva sognando di lei o vegliava con desiderio e con rammarico di lei? Mai più, mai più si sarebbero incontrati pel mondo? Avrebbe egli presto un’altra amante? E come sarebbe? Bionda e magra come lei o bruna invece e florida per necessità di contrasto?

Le parve un momento che una voce straziante come un grido la richiamasse indietro implorando. Sussultò, le sembrò di mettersi