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il sottile inganno 143

minile più straordinario ch’egli avesse incontrato nella vita e nell’arte, quello d’un mutamento così profondo da renderla irriconoscibile. Si domandava se anche nel suo fisico la stessa evoluzione si fosse compiuta e avesse fatto della goffa personcina rigida e inconcludente d’un tempo la creatura di grazia e di sensibilità che traspariva dalle sue lettere. Le rilesse tutte, ad una ad una, soffermandosi con trepido rapimento sopra talune frasi più affettuose, scrutandone l’intimo significato, cercandovi un oscuro senso di tenerezza, e tentando d’illudersi ch’esse lo avevano, forse inconsapevolmente, sospinto verso una meno fraterna amicizia ed autorizzato a manifestarla.

Certo il marito non seguiva ormai più tale assiduo carteggio e non esercitava alcuna sorveglianza sopra una donna troppo intelligente ed orgogliosa per tollerarla, quindi non tardò a convincere sè stesso che conveniva scriverle un’ultima lettera, fra addolorata ed offesa, nella quale la complicazione sentimentale che lo conturbava apparisse inasprita d’una specie di pietà beffarda per sè stesso e di amara invidia per la serena indifferenza della donna. Non avventurò incaute dichiarazioni d’amore, ma il represso fremito che correva tutta la lettera rivelava senza confessare, esprimeva senza dire, era come un commento musicale destinato ad