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l’ospite | 131 |
mebonda i capelli di quell’uomo raccolto ai suoi piedi come uno schiavo e certo ormai suo.
Ella ne provava un piacere trafiggente, composto di languore e di febbre, di paura e di coraggio, e nel silenzio agitato del suo cuore l’attesa della felicità vicina le formava nel petto un vuoto dolorante come se le mancassero l’aria e la vita. Ed entrambi tacevano come se volessero prolungare quello stato di spasimo squisito, certo ed incerto, come se si compiacessero d’allontanare il momento più fervido ma meno incantevole della rivelazione.
Molto tardi Renato Faris s’alzò quasi a malincuore, prese le mani della cugina fra le sue, giocherellò un momento con le dita magre senza guardarla, raccogliendosi, quasi esitasse a dire e pur volesse parlare. Ma non parlò, la salutò in fretta, domandò di Germana che era già a letto e uscì nella strada deserta, camminò sotto le piante snelle d’un viale, vigilato dal cielo da una pallida luna violacea, spiato da un balcone da una pallida donna fremente.
Il domani egli si scusò di essersi abbandonato la sera innanzi ad una familiarità eccessiva e passò la serata a fumare distrattamente, a sfogliare con mano nervosa giornali e riviste che non lo interessavano, forse preoccupato, forse tediato, seguìto in ogni suo atto dallo sguardo tenero ed incerto