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come un’ombra | 119 |
Montenero ed abito in questo albergo da tre settimane.
Si accingeva a rinchiudere le vetrate sopra la fredda notte quasi ancora invernale, quando io lo fermai col gesto: — Vedo che lei soffre, — dissi osservando il suo pallore e le labbra lievemente cianotiche, — lasci aperta la finestra poichè ha bisogno d’aria; io stavo ritirandomi.
Ma egli aveva già prontamente rinchiuso e il suo volto perdeva a poco a poco la tinta cadaverica, le labbra si ricolorivano, ma gli occhi conservavano tuttavia la loro espressione cupa.
— Mi permetta di giustificarmi, signora, — egli soggiunse senza cedermi il passo, — io sono un povero malato e bisogna compatirmi. Ho sofferto troppo, stasera.
— Lo so, ha sofferto per una donna, — non potei trattenermi dall’osservare con un sorriso d’ironica indulgenza, — e gli volsi le spalle per uscire.
Rapidamente egli mi si pose di fronte con un volto pieno di stupite interrogazioni e mi domandò inquieto: — Come lo può sapere? Chi glie lo disse?
— Lei stesso con quell’aria stravolta, — risposi sorridendo. — Del resto ha ragione, la giovine signora Laurati è bellissima questa sera.
— Ah sì, è bellissima, — egli rise a denti