Pagina:Guglielminetti - Anime allo specchio, Milano, Treves, 1919.djvu/12

2 il ramo di lillà

espresso, il che è anche peggio, — mormorò Bonaccorsi accogliendo tutta nel suo sguardo incantato la figuretta bionda avvolta in un chimono verde ad ibis argentee strettamente attorcigliato dalle caviglie ai fianchi ed ampiamente aperto sul dorso e su le spalle, la quale moveva senza posa il suo capo di uccelletto bizzarro da destra a sinistra, dai fiori veri ai fiori dipinti, senza occuparsi di lui e senza, forse, ascoltarlo.

— Non mi credete? — egli domandò dopo una pausa avvicinandosi alla giovine donna ed osservando al disopra della sua spalla l’abbozzo incompiuto.

— Che cosa? — ella chiese a sua volta fra distratta ed infastidita senza guardarlo.

Egli l’afferrò alle spalle quasi brutalmente, ne sentì sotto la seta leggera la forma squisita e il tepore morbido e irruppe con un impeto d’ira appassionata:

— Ch’io vi amo, che vi amo, che sono disposto a tutto pur di ottenervi, anche a sposarvi, capite?

Ella si divincolò sdegnosamente, in silenzio, schizzò su la tavolozza un lungo serpentello di colore azzurro, poi gli si volse sogghignando.

— Quale onore! — esclamò con beffarda lentezza. — Potrei diventare la marchesa Bonaccorsi, lasciare l’arte e le sue vanità e invece rifiuto. Non mi piacete sufficientemente