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108 | il cuore malato |
Ella lasciò che Alberto se ne andasse fosco e nervoso com’era venuto, poi si buttò quasi vestita sul letto mordendo il guanciale per non gridare. Che le importava della loro fortuna di domani quando l’oggi le era così terribilmente amaro? Che le importava dello zio e dei suoi denari, di Alberto e delle sue speranze quando il suo amore le fuggiva lontano e il suo cuore si spezzava come se un piede vi passasse sopra e lo schiacciasse?
Ella si premeva le mani su quel povero cuore che le faceva male e le pareva di doverne ritrarre le dita macchiate di sangue quasi le avesse immerse in una ferita aperta.
Ma il domani svegliandosi ella si rammentò di don Eusebio e pensò che bisognava intraprenderne la conquista. Si vestì di bianco con una fresca semplicità che ringiovaniva i suoi stanchi trent’anni e discese in giardino a cogliere rose per offrirgliele.
Il vecchio passeggiava già per i vialetti ghiaiosi sui quali aveva giuocato fanciullo appoggiato al braccio del suo fido domestico, ma quando donna Giacinta gli si avvicinò, subito comprese che egli non le aveva perdonato la sua ritrosa freddezza, la sua aria assente e preoccupata della sera innanzi. Egli l’attribuiva certo ad un resto di rancore rimasto in lei per l’ostilità da lui dimostrata alla sua unione con Alberto e se ne offen-