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mante cara, egli aveva sofferto così. Perchè quella donna era passata nella sua vita e l’aveva resa più intensa e più bella, ma Oretta se n’era impadronita, s’era fatta il centro e la fine d’ogni suo pensiero, l’aveva allontanato dalle altre, l’aveva isolato nell’orbita della sua piccola volontà teneramente dominatrice. Egli contava trentacinque anni quando gli era stata affidata Oretta che ne aveva quattro ed era orfana di un suo fratello morto in miseria per vizi e per conseguenti malattie. Ella gli era sembrata dapprima un delizioso impaccio alla sua vita libera e disordinata d’artista ancora giovine, ma a poco a poco la bellezza e la grazia della piccina, poi della fanciulla, poi della donna, l’avevano conquistato. Tutta quell’oscura parte di sentimento paterno che ciascun uomo forse porta in sè stesso, fatta più vivace e più passionale da un’ammirazione puramente estetica e da una adorazione quasi amorosa per quella graziosa femminilità che gli viveva accanto, s’era sviluppata in un sentimento alquanto complicato che non era più affetto e non era ancora amore, ma aveva dell’uno la tenerezza protettrice, dell’altro la gelosa sensibilità.

— È partita, è partita, — si diceva Fabio Lucani fermo dinanzi al ritratto di Oretta esposto l’anno innanzi a Venezia e tristemente rifletteva che quell’Oretta dipinta da