Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
86 | Brani di vita |
caldo ci ristorò e al primo tocco di campana fummo liberati. Uscivano i frati processionalmente dalla chiesa, taciti, raccolti, compunti i novizi; lieti, ridanciani i più vecchi, il contegno dei quali ci sorprese alquanto. Il frate dimostratore ci credette anche lui contadini o quasi, e adattò le sue parole alla nostra povera intelligenza; ma qualche parola sfuggitami o qualche riflessione sulle opere maravigliose dei Della Robbia, che avevo visto altre volte, tradì il nostro involontario incognito. Capì che il frate della foresteria aveva preso un granchio e diventò subito un cicerone più affabile e premuroso.
Non è qui luogo per ripetere quel che sanno tutti e le Guide ripetono, intorno al convento della Verna. Voglio ricordar solo l’orrore e lo stomaco che provammo nei luoghi dove abitano i frati. Quella fila doppia di piccole celle, contigue sotto un rozzo tetto comune, è uno spavento pel tanfo caprino di chiuso, per l’afa pestilente ed oleosa di calde esalazioni maschili, pel fetore ammoniacale di latrine immonde, per il lezzo di loia fermentante che stringe la gola come un capestro. Non si lavano mai, dormono vestiti in quelle loro tane grasse e putono d’irco che ammorbano. La peste bubbonica non c’è per nulla ed è maraviglioso che creature umane vivano senza ammalare in quello sterquilinio fetente d’ogni lordura. Oh, come uscimmo fuori volontieri e ci mettemmo soli nel bosco che stormiva, nel bosco che la frateria non ha potuto ancora insudiciare! Non è dato a parola umana descrivere la bellezza solenne, la magnificenza miracolosa, magica,