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La Verna | 85 |
E non solo qui, sull’uscio, i frati hanno sciupato la leggenda poetica e buona. Da per tutto hanno voluto ficcare il ricordo, anzi la prova apparente del miracolo, come nel Sasso spicco e come in quella incavatura della rupe, la quale, quasi cera molle si sarebbe aperta pel santo minacciato dal demonio e ne conserverebbe l’impronta; e l’inevitabile cassetta apre la larga bocca che sembra ridere ad ogni soldone che ingoia.
Il convento offre l’ospitalità per tre giorni gratuitamente. S’intende che ciascun ospitato sente l’obbligo di galantuomo e si sdebita con elemosine; ma spesso volere non è potere e lassù capita anche gente che non può. Sono perciò due le foresterie; una disopra pei ricchi ed una abbasso pei poveri. Cristo e San Francesco avrebbero forse fatto il contrario e dato il posto migliore ai poveri, ma dopo tutto ognuno è padrone di pensare e di agire come crede. Così noi che dopo un paio di settimane di peregrinazioni pedestri pei monti non avevamo l’aspetto elegante e le vesti di una promettente lindura, fummo condotti alla foresteria da basso; quella dei poveri.
Chiedemmo di visitare il convento ed il bosco, ma il torzone ci disse che tutti i frati erano in chiesa, anche quello che aveva l’ufficio di dimostratore; che attendessimo il primo tocco della campana; ed intanto ci offrì certi fagiuoli che fumavano in un ampio catino ed un vinello leggero, ma limpido e sano; indi ci chiuse a chiave nella foresteria, come due prigionieri.
Avevamo mangiato alla Beccia e non toccammo i fagiuoli. Bevemmo un dito di vinello che in quel