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84 | Brani di vita |
trova una osteria che, per la sua modestia, ricorda le consorelle dei monti della Sabina e ci vedemmo la cagna più magra che abbia vissuto mai, credo, in Europa; fenomeno di osteologia animata, prova maravigliosa della resistenza della vita nei quadrupedi addomesticati. E di lì salimmo al convento.
La Verna è come un’amba, cioè un monte tagliato a picco in ogni parte fuorchè in un esiguo istmo dal quale si accede al piano che è come la faccia superiore di questo immenso dado di macigno. Presso all’istmo è il convento che, da lontano, pare attaccato, incollato alla rupe, ed il piano dell’amba, inclinato e boscoso, non si vede se non entrandoci. La parte rocciosa è orrida, la selvosa amenissima, e tutto l’insieme ha un non so che di strano, di violento, di imponente che costringe all’ammirazione.
Ma i frati, guastano un poco. Dice la pia leggenda che S. Francesco, giunto qua sù, fu accolto dagli uccelli accorsi a salutarlo col loro canto e che egli li ringraziò e benedisse. Io non c’era e non posso dirne nulla, ma pure la leggenda ha quella certa poesia delicata che alita spesso nelle origini francescane. I frati hanno eretto una piccola cappella sul presunto luogo del miracolo, a pochi passi prima dell’ingresso e da una finestrella dell’uscio ci fanno vedere S. Francesco, non so se di gesso o di legno, ma tutto lustrato e verniciato, in atto di benedire pochi passeri e balestrucci impagliati, quasi spennati e pendenti con un filo dal soffitto. Addio poesia della leggenda! Però c’è la cassetta per le elemosine e il risibile spettacolo è destinato, per quel che pare, a promuoverle numerose ed abbondanti.