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La Verna 83


E rileggendo l’amara lettera del poeta e facendo queste malinconiche riflessioni, ritornai col memore pensiero all’ultimo giorno di luglio del ’91, giorno sereno, lieto, pieno di sole e di gaudio, in cui con mio figlio, allora quasi bambino, salivamo a piedi e cantando la dura strada che conduce al convento della Verna. Avevamo percorsa, così pedestri, la Romagna toscana, risalendo la valle del Montone e visitando i luoghi che Dante ricorda; indi, calati a San Godenzo, avevamo valicato la Falterona bevendo alla fonte dell’Arno, per calar poi in quel delizioso Casentino che da Stia a Bibbiena è tutto un paradiso di verde, di fresco e di festiva urbanità. Ma anche qui, quanti frati! A Camaldoli, bianchi, silenziosi ed oziosi i Camaldolesi. A Strada, appiattati in una valle poco nota, i Gesuiti con un collegio magnifico. A Pratovecchio due conventi di monache. A S. Maria del Sasso i Domenicani. Da per tutto, se non il frate, il suo ricordo, a Vallombrosa, a S. M. delle Grazie, a Poppi, a Strami, a Fronzola, a Certomondo, a Badia Prataglia, a Talla, i luoghi più belli, e più ricchi, o più sicuri erano i conventi. Ed ora salivamo per raggiungere il crudo sasso intra Tevere ed Arno che è come il Calvario dell’ordine francescano.

La vetta è erta, sassosa ed arida. Oltrepassata S. M. del Sasso e attraversato il Corsalone, c’è un po’ di adulazione nel chiamarla strada. Qualche quercia frondeggia solitaria, malinconico ricordo delle selve distrutte, e il paesaggio ha un aspetto triste e desolato che contrasta con la ridente ubertosità del Casentino. Alla Beccia, poco sotto al monastero, si