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74 | Brani di vita |
E lungo il crine dell’Alpe di Serra, volgendo colla nuova guida al sud-est-sud, ripigliammo il viaggio. Il mattino era desto, e guardando giù tra i faggi, vedevamo le pecore nei prati verdi salire al pascolo e ci pareva d’essere in Arcadia. L’egloga era dappertutto e l’idillio cantava dentro di noi. Quanto era lontana la città colle sue vie roventi, colle sue botteghe che soffiano l’afa, co’ bugigattoli dove s’arrostisce vivi! Quant’erano lontani i caffè asfissianti, i teatri ribollenti, gli uffici, le mosche, i telegrammi Stefani! Arcadia! Arcadia! E ci tornavano in mente versi di Virgilio e di Iacopo Sanazzaro, strofe di Andrea Chénier che non sapevamo di ricordare. E laggiù, dall’orizzonte rosso, prorompevano fasci di luce gialla e le cime si coloravano, e i monti, gli alberi, i prati si destavano in un inno di gioia e di resurrezione. Il sole! Il sole!
Ma l’idillio finì. In faccia al casale detto Gualchereti lasciammo la schiena dell’Alpi di Serra che segue salendo sino al poggio del Bastione, e scendemmo giù nella valle del Savio, giù sino a Folcente, per risalir poi verso Montioni e Monte Coronaro. La discesa fu terribile e terribilmente lunga. Per coste impervie, aride, sassose, ripidissime, ci convenne ruinare a valle, chiedendo difficili sforzi alle povere gambe già strapazzate da tre giorni di viaggio faticoso. Il sole cominciava a scottare ed i faggeti li avevamo lasciati più in alto. I ciottoli smossi dai nostri piedi rotolavano giù saltando e si perdevano e come loro ci bisognava scendere, scendere sempre, ansando e sudando. Addio l’idillio! Se