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72 Brani di vita


Da tre giorni infatti camminavamo in media sedici orette salendo e scendendo l’Appennino. La Falterona da un giorno non la vedevamo più, quando da Camaldoli, per Cotozzo, scendemmo a Badia Prataglia. Gli operai della strada tosco-romagnola, ora compiuta, che valica l’Alpe di Serra a Mandrioli, riempivano l’unica osteria, e ci convenne dormire sui banchi e sulle tavole, di dove ci levammo alle tre del mattino indolenziti e pesti. Avevamo bevuto alla sorgente dell’Arno e volevamo bere ad ogni costo a quella del Tevere.

Un giovinotto, che aveva a cottimo alcune opere lungo la via, ci fu guida sino al valico di Mandrioli. Chiuso e freddo come un vero montanaro, camminava tranquillamente nel buio senza dir parola, senza nemmeno animarsi ai dolorosi ricordi di Custoza dove era stato granatiere. Camminavamo silenziosi dietro di lui, senza sapere dove, ora sui ciottoli, ora sull’erba, ora lungo l’acqua che piangeva tra i sassi, ora tra i faggi che indovinavamo ritti ed immobili nell’oscurità. Salire i monti a notte alta, sotto i boschi che paiono addormentati, nel silenzio profondo, pei sentieri da capre ignoti e rapidi, è un piacere da non potersi dire. L’aria viva stimola il sangue, l’attenzione aguzza i sensi. Sentite lo scricchiolare sotto ai piedi della foglia morta, il fruscìo della fronda che strisciate, il respiro di chi vi precede. Vi sentite vicino, tra le frasche, certi movimenti misteriosi come qualcuno ci fosse nascosto, e più lontano certi tonfi sordi come di un sasso che cada nella terra molle. E sopra questi tenui rumori sta il silenzio,