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68 Brani di vita


Tutto l’Appennino centrale dal Sasso della Verna al Cimone di Fanano era sotto i nostri piedi, e più lontano, sfumate nell’azzurro, facevano capolino vette più alte. L’Adriatico luccicava a levante, e a mezzogiorno, verde, ridente quasi ci tendesse le braccia, si apriva il bel Casentino fino ad Arezzo. Si può campare mille anni, ma quell’istante non si può più dimenticare. Viene un momento, nel silenzio solenne della montagna, che il sublime vi sgomenta e vi sentite costretti a chiuder gli occhi per la vertigine dell’immenso. La vita ha poche ore così piene, così grandi. Scendere è un dolore.

Eppure, ahimè! ci toccò discendere. Sedemmo intorno alla sorgente dell’Arno bevendo l’acqua limpida e gelata del fiumicel che nasce in Falterona, e rovinammo giù a valle, per le chine sassose, tra le ginestre dai fiori gialli, sui sentieri arsi e bianchi che menano a Stia.

Entrati nella patria del Tanucci, la gente ci guardava con molta curiosità, quando un giovane ci venne incontro chiedendoci se fossimo soci del Club Alpino.

— Indegnamente, — rispondemmo.

Era socio anch’egli e ci fece un mondo di utili gentilezze. Volle che io dormissi a casa sua, ed il mattino ci accompagnò per un buon tratto di via nella nostra salita per Segaticci verso Camaldoli all’Eremo. Andavamo alle sorgenti del Tevere. Un anno dopo, l’avv. Carlo Beni, il mio gentile ospite di Stia, mi scrisse per annunciarmi che aveva scritto la Guida del suo Casentino e desiderava una mia prefazione. La lettera mi giunse mentre ero afflitto da