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62 | Brani di vita |
- Come quel fiume, ch’a proprio cammino
- Prima da monte Veso in ver levante
- Da la sinistra costa d’Appennino,
- Che si chiama Acquacheta suso, avante
- Che si divalli giù nel basso letto,
- Ed a Forlì di quel nome è vacante.
- Rimbomba là sovra San Benedetto
- Da l’Alpe, per cadere ad una scesa
- Ove dovrìa per mille esser ricetto;
- Così ecc.
- Come quel fiume, ch’a proprio cammino
e forse fu quando si recò a San Godenzo con altri illustri fuorusciti per indurre gli Ubaldini a quei tentativi su Ganghereto e Gaville che, come gli altri, riuscirono vani. Il Del Lungo fa risalire al 1302 il documento actum in choro Sancti Gaudentii de pede Alpium che Dante firmò; ed erano quindi passati 578 anni allorchè noi seguivamo la stessa via.
L’ultima delle casupole che stanno sul valico è l’osteria della Mea, dove giungemmo sull’imbrunire. Ai Poggi, poco lontano, c’era stata in quel giorno una fiera celebre nei dintorni, e la strada, davanti all’osteria, era affollata. Eravamo appena giunti, che tutti quei montanari, come presi da una convulsione fulminea, cominciarono a gridare ed a regalarsi reciprocamente certi pugni che parevano catapulte. La nipote della Mea con un coraggio da amazzone si ficcò a testa bassa nella mischia per difendere il fratello Marco che stava facendo una splendida collezione di quei pugni montanari, e noi dietro per strapparla dalla mischia, prendendola a traverso, tirandola e brancicandola senza riguardo. Se non fossero stati quei benedetti pugni che grandinavano fitti