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Polemiche intorno al Leopardi 449

dipinto con colori men che favorevoli, e si dichiarava alto e fieramente che il poeta nelle sue ultime lettere era stato ingrato verso chi lo aveva mantenuto in tutto e per tutto con amichevole disinteresse e non lieve sacrificio. Risultava da quel libro che la moralità del poeta non era completa, che era sudicio, geloso, cattivo, ingrato e, più di tutto, che si era lasciato assolutamente e completamente mantenere senza dir nemmeno grazie.

Il buon pubblico non seppe che dire. Gli si guastava la bella immagine del sublime tribolato che filosofò così malinconicamente sul dolore e incarnò in sè la tendenza pessimista del secolo. Gli si sciupava il poeta migliore di cui potesse forse gloriarsi l’Italia in quel secolo. Gli si buttava alle fogne un ideale quasi santo, una memoria venerata. Traspariva, è vero, dalla tronfiezza apocalittica, dalla evidente artificiosità romantica del libro, un non so che di esagerazione retorica facile a mettere in sospetto, se non la veridicità, almeno l’esattezza dello scrittore. Ma come negar fede al Ranieri, all’ultimo amico di Giacomo, al confidente della sua ora estrema? Si chinò il capo sotto ad una disillusione di più.

Ma ecco il libro del Piergili, dove con documenti autentici si convince di errore il Ranieri in una delle sue più gravi affermazioni. Il Leopardi non fu mantenuto, almeno in tutto, dall’amico. Riceveva regolarmente dalla famiglia un assegno tenue sì, ma non minimo in quei tempi e a Napoli dove si viveva con poco. Nell’ultima sua malattia ricevette quaranta scudi, più che dugento lire, il cui valore era, allora