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cuore come un clericale e senza dignità come un prestatore su pegno a grassi frutti, mi è sempre sembrato meno stimabile dello stesso Monaldo, la cui fama è oramai monda dalle brutte macchie d’un tempo. La condotta poi di chi tenne da lui ed abusò del suo nome di famiglia per miserabili intenti di partito e di sagrestia, mi nausea addirittura. Tuttavia ciò non toglie che in fondo sia da disapprovare questo strazio che dalle due parti si fa pel povero Giacomo, il quale serve di pretesto alla lotta. Fa pietà vedere i combattenti scaraventarselo l’un l’altro addosso come un cencio sudicio e rimandarselo come una palla a suon d’ingiurie, di improperi e d’insulti. A Recanati si rappresentano gli Héritiers Rabourdin, e come di solito il pubblico fischia.

Pur troppo è vero che lo studio dell’Aulard intorno a Giacomo Leopardi trovò in Italia un popolo di lodatori. Il nostro amor proprio nazionale era soddisfatto vedendo che dalla Francia, da quella stessa Francia dove le cose nostre sono così profondamente ignorate, ci veniva il riconoscimento cosciente di una delle nostre massime glorie. A chi non legge, o legge superficialmente, bastò il frontespizio per tenersi contento. Chi invece non legge i libri colla leggerezza con cui si leggono i giornali, scosse il capo e tacque. Meno che gli errori, spiegabili se non perdonabili, colpivano in quel lavoro gli intenti partigiani che l’avevano dettato. Il peggio fu quando la vedova di Carlo Leopardi stampò in francese un maligno libro — Leopardi et sa famille — dove, ripetendo notizie vecchie, si cerca di tirarle