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434 | Brani di vita |
tesi, anzi parecchie ipotesi, che possono esser accettate come tali e non altro.
Non voglio già sostenere con questo che la cantica ora stampata sia una falsificazione. Non c’è nulla che lo dica, come a negarlo non c’è che l’opinione del nipote dell’inventore della pila. Non c’è nulla di strano che il Leopardi, da ragazzo, scrivesse a modo d’esercizio scolastico questi poveri canti, queste misere terzine.
Ma il rispetto, la venerazione che tutti abbiamo grande ed io ho grandissima per l’infelice poeta, non ci debbono impedire di confessare che questa cantica, imitazione d’imitazione, non è altro che un lavoruccio scolastico, retorico, poverissimo sia nel riguardo del concetto che della lingua.
La lingua infatti denota uno studio assiduo dei classici, o anzi meglio de’ trecentisti, non corretto ancora da quello squisito gusto che fece poi grande il Leopardi. C’è sino l’affettazione dell’arcaismo, c’è sino l’esagerazione ortografica.
Non c’è mai un io, ma sono tutti i’; non c’è parola mozzabile in principio che non sia mozzata e ci troviamo lo 'ngegno; ’ncontra; ’ntorno; ’ntelletto e mille anticaglie, roggia per rossa, lutta per lotta, frati per fratelli, dirampa, approcciare, dischiavacciare, credulitate, rinomo, e il pomo d’Eva è il piagnevol pomo; proprio un glossario, un zibaldone di modi affettati o rancidi. Sarà del Leopardi, ma la lingua potrebbe essere non che del padre Cesari o del Puoti, ma di Fidenzio Glottocrisio ludimagistro.