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mente imitata dal primo che capita: la carta del tempo si trova dappertutto; l’inchiostro sbiadito o rossastro si fa in cucina, e la cantica è un lavoro tanto giovanile che, quasi quasi, potrebbe averlo fatto davvero il signor Volta; ma questo non vuol dire, poichè qualunque maestro di retorica può far di meglio.
Il nipote di Alessandro Volta ha preveduto il sospetto di falsificazione e mette le mani avanti. Egli prova che il testo e la sua età probabile vanno d’accordo con quanto ci dicono di questa cantica il Leopardi nell’epistolario, il Giordani ed altri; e che la calligrafia è quella stessa di altri lavori autentici del poeta ch’egli possiede; quindi la cantica è del Leopardi. Le premesse non fanno una piega, ma uno scettico potrebbe sorridere della conclusione. Dato il caso di un falsario, è egli supponibile che costui avesse steso la cantica senza studiare prima tutto quel che è stato detto da molti e senza imitare o far imitare il carattere grafico? Bisognerebbe supporre che il falsificatore fosse Calandrino. Se la cantica va quindi d’accordo ne’ caratteri, diremo storici ed esterni, questo non escludo che altri la possa aver fatta o fatta fare: ed anche questo ragionamento non fa una piega.
La storia del manoscritto, la storia provata, darebbe la vera sicurezza: ma appunto qui non si sa nulla di certo. Il come, il quando ed il perchè il manoscritto sia andato a nascondersi nella topaia dove il nipote del Volta lo trovò, non può sapersi. Il nipote del Volta si permette soltanto qualche ipo-