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Per un sonetto | 403 |
le pie orecchie, il ruggito sordo che incomincia a turbare il quarantenne silenzio e persuade a cercar bavagli e museruole per mantenere ancora il leone romagnolo nella sua calma neghittosa e sonnolenta. Ogni voce che si levi contro l’inframmettenza, l’intransigenza, la propaganda politica e reazionaria del clero e dei Vescovi, si faccia tacere; ogni scatto si comprima, ogni resistenza si punisca. E sanno che la parola uccide e sanno che per una voce dubbia si può accoltellare alle spalle una intenzione santa, dietro l’angiporto oscuro di un articolo del Codice. I centurioni accoltellavano così in Faenza, ma sitivano di sangue e non di potenza o di denaro e le coltellate uccisero gli uomini, ma non le idee. E così sarà ora. Fossi pur condannato, scriverò ancora e sarò forse condannato ancora; ma non omnis moriar e finchè durerà la carta stampata, durerà la memoria di Monsignore.
Querelle d’Allemand, dicono i Francesi; e questa è tale, e non potrei credere che il Magistrato non se ne avvedesse o non se ne volesse avvedere. È conflitto di idee, di opinioni, di intenzioni e non di parole. Io voglio la mia patria Italia una con Roma capitale. Monsignore invece ed i suoi la subiscono, obbedienti al Re per forza o per interesse, ma al Pontefice per elezione e per giuramento. Le società, le istituzioni che costoro promovono, saranno forse confessionali, ma senza forse in gran parte politiche e dirette, se non a mutare, certo a preparare una mutazione negli ordini attuali di cose, sia nella costituzione, sia nella territorialità. Debbo provare anche questo? Sono pronto.