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406 | Brani di vita |
potrà recarmi nocumento con le poderose corna, nè in senso proprio nè in figurato. Nel primo senso la parola non è offensiva; nel secondo posso provare che è l’enunciazione della verità.
E così si dica anche per l’ultima parola “castrati”. Se si parla di gregge in senso proprio, o che non ci sono castrati negli armenti? Non ne mangia, Monsignore? E se in senso figurato, non ce ne sono a Faenza? Anche qui volevo fare la prova e avrei invocato la testimonianza dell’illustre chirurgo Sarti dello Spedale di Faenza perchè dicesse, senza far nomi, se nella pratica sua non gli sia mai avvenuto di operare la castrazione sopra uomini e sopra femine. E la risposta sarebbe senza dubbio stata tale da far considerare pienamente raggiunta la prova del fatto.
Avrei provato tutto; le pecore, i becchi, i castrati ed anche altre cose; ma Monsignore non vuole la prova, vuole la condanna e la multa: “Illum oportet crescere, me autem minui”.
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Ah, no; ora basta! Questa miserabil cura di perquisire, di palpare, di fiutare le parole come chi leva le pietre ad una ad una per vedere se sotto ci dorma un baco, non è opera degna nè del Giudice, nè di me. È compito di pettegole che leticano una gugliata di filo. Più in alto si deve guardare. Non sono io l’imputato, non è lo sparuto sonetto che offenda, no; ma è il brontolìo cupo che avvertono