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lasciandoli fare; e solo che ci fosse un po’ di Carlo IX, io e Lei potremmo bene destarci la notte di San Bartolomeo. Non dica che esagero e retoricheggio. Ci sono ancora dei testimoni viventi. Si faccia raccontare le gesta dei centurioni faentini, che pur non sono antiche e sentirà che il mal seme rigermoglia e gli amorosi cultori suoi non mancano. Domani non sarà più dopo le conferenze infiammanti gli adepti nell’oscurità delle chiese e delle sagrestie, ma sarà in piazza, sarà nel Pretorio suo che verranno a sparnazzare la bandiera bianca e gialla gridando “delenda Italia” e sulle rovine delle libertà, delle leggi, delle istituzioni si leverà padrona assoluta e vendicatrice la mano che maledisse il Rosmini.

Ma io son nato presto e nella midolla delle mie ossa penetrò l’entusiasmo per l’unità e la libertà quando coloro che oggi sono così arroganti ed aggressivi rimbucavano sgomenti e paurosi e la nuova Italia, questa ingenua fanciullona, perdonava sorridendo. Quando quegli entusiasmi han balenato una volta agli occhi dell’anima, ci rimangono quanto la vita. È per questo che quel poco che potevo, lo feci; è per questo che, pur non essendo soldato, a Roma ci volli entrare, non per la porta, ma per la breccia; è per questo che, ormai canuto, spero, lavoro, combatto ancora e domani, forse, un Tribunale italiano mi condannerà.

È vero: altri ideali si sono di poi aggiunti, ma non sostituiti ai primi. Ho sentito la strettezza dell’idea di patria se questa deve esser limitata da una