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L’ultimo amore 29

Ella non sapeva l’inglese e volle che le recitassi il principio della cantica del Byron; ma quando cominciai:

It is the hour when from the boughs
The nightingale’s high note is heard...

rise, rise di cuore. Che denti sani e schietti mi mostrava tra quei suoi labbrucci di bambina! S’era appoggiata un po’ indietro e mi guardava in faccia, dentro negli occhi, come se fossimo stati amici vecchi.

Al passaggio del Po, sul ponte lunghissimo, sporgemmo tutti e due la testa dallo stesso finestrino. A monte del fiume, sul ponte di barche, si vedevano passare i carri piccini piccini e l’acqua lenta e solenne specchiava il sole, il cui riflesso le tremolava sotto i morbidi candori del mento e nei ricciolini d’oro insubordinati. Mi parve che quella prossimità delle persone dovesse stringere meglio i vincoli della cominciata confidenza. Invece da quel punto ella cominciò a perseguitarmi con certi motti pieni di spirito, è vero, ma anche un po’ pungenti.

Combattemmo di arguzie e di piccole malignità. Mi tornavo a sentire studente e, quando alle volte rimanevo ferito nel vivo, mi dicevo: — Che cosa avresti risposto tanti anni fa, quando eri innamorato di lei? — E la risposta veniva sempre più calzante, sempre più ardita e più piena di una affettuosità contenuta che doveva fare ottimo effetto. Così lottando di impertinenze garbate passammo il Polesine e Rovigo: ma quando ci avvicinammo ai colli Euganei,