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Per un sonetto 371

sighella, diocesi di Monsignore. Più alto, in noi scomunicati, è il concetto della religione e vediamo con vero ribrezzo le sacre imagini di Pompei, di Loreto, di Sarsina e cento altre, strette da una fatal legge economica, scendere alla concorrenza, alla réclame, al rinvilìo dei prezzi. La fede la dà Iddio ed io non sono imputabile se me l’ha negata, almeno sotto la forma in cui la si vuole ora. Mi piace più l’antico Vangelo e, interrogata la mia coscienza, ripeto con Riccardo da San Vittore, che non era un eretico mi pare, “Domine, si error est, a te ipso decepti sumus.'’'

Così io vedeva le cose di Romagna e questo era ed è lo stato della coscienza mia, quando, appunto da Faenza, mi giunse la lettera di un amico, che qui non nomino per non implicarlo in questo processo; e la lettera mi diceva che, celebrandosi un centenario di S. Pier Damiano e non so che Giubileo di Monsignore, il “Lamone” avrebbe stampato un numero a posta e mi si chiedeva qualche verso adatto alla circostanza.

Del “Lamone” non avevo mai visto un numero. Sapevo però delle sue baruffe con Monsignore il quale aveva fatto bandire dagli altari ed affiggere, credo, ai muri la scomunica pel giornale e per chi lo leggesse. Arma nuova di polemica anche questa; violenza che in Romagna, come dissi, suol partorire violenza. La ritorsione non è punita e non vedevo gran male che il giornale prendesse un po’ in giro