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denza altrui; ma mi pareva e mi pare che questa religione ristretta alle esteriorità, al culto delle immagini, al commercio delle messe, al merito della velocità nel recitare di seguito formule spesso non intese e, più che altro, alla raccolta del denaro sotto varii pii pretesti, non sia più la religione di Cristo, come l’ho vista nel suo Vangelo.

Certo io sono un cristiano molto ordinario e alcune massime del santo libro non le sento e non le pratico. Già mi lascia un po’ freddo il "Diligite inimicos vestros", ma non potrei senza dubbio praticare il “Et qui te percutit in maxillam, praebe et alteram et ab eo qui aufert tibi vestimentum, etiam tunicam noli prohibere”. Sono queste le virtù di grado eroico che la Chiesa ci chiede per procedere ad una beatificazione o ad una santificazione. Molti però stimano che non siano indispensabili alla salute dell’anima, e lo stesso Vescovo di Faenza, almeno per quel che riguarda la sua querela contro di me, non praebet alteram come Gesù Cristo consigliava. E nè io, nè i suoi superiori gliene facciamo carico certamente.

È però strano il senso di sorpresa che desta il nome di Cristo gettato in mezzo a simili contese. Chi lo ricorda più? Chi ha letto il suo Vangelo? Chi conosce i suoi precetti? Se la sua memoria non è spenta affatto nei credenti di questa nuova religione, gli è che fu inventato il suo Sacro Cuore e la pia ipotiposi non manca di utilità. Dico religione nuova questa dei pellegrinaggi in cui si grida, “Viva il Papa Re” e delle gozzoviglie sacro-profane, miste di devozioni e di corse nei sacchi, che vidi a Bri-