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Per un sonetto 371

sodalizio sacro-profano che il dialetto irriverente qualificò di Squaciarella, e dal quale, quando che sia, potranno uscire i volontari ed i centurioni dell’avvenire. I successori di Don Campidori e di Don Bertoni potranno ricondurli alle prodezze antiche ed inalberare il vessillo giallo e nero sul ponte e portare in trionfo un’altra baldracca gridando:

Viva la sposa Nina,
Viva Gesù e Maria,
Viva l’imperator!


bastonando in nome del Pontefice e assassinando in nome di Dio. E la preparazione si sta facendo.

Questo ideale, per fortuna di molti, non è ancor prossimo a diventar realtà. Le leggi non lo consentono. Ma se questo furioso vento di reazione spazzerà le nubi che la libertà accumulò nel puro cielo del sanfedismo, ci si potrà pensare, a Faenza, nella patria del mio povero Cencio Caldesi!

Tuttavia se questo, errato o no, era il concetto che io mi faceva degli intenti e dei metodi messi in vigore dalla propaganda clericale in Romagna e più in Faenza, come azione o piuttosto reazione politica, assai più alte e più gravi erano le ripugnanze che io provavo e provo per la religione intesa a quel modo.

L’argomento è delicato e non v’insisterò, non volendo in modo alcuno offendere la sincera cre-