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372 | Brani di vita |
dacia delle pubbliche manifestazioni, tollerate, protette e reclamanti a viso aperto l’ausilio di quelle autorità che i clericali non riconoscono per legittime, di quelle leggi che dichiarano inique. Indi un aprirsi di scuole non sempre in regola ma non richiamate mai alla regola; di ricreatorii che attirano i fanciulli accarezzando l’ignavia o l’avarizia dei genitori; di banche le quali riscuotendo l’interesse dei prestiti non dicono certo con Cristo Mutuum date, nihil inde sperantes; di fraterie che tornano a possedere e ad arricchire col noto artifizio dei prestanomi; di tutto insomma un contegno lusinghiero che, dalla finestra, col labbro dipinto offre baci all’interesse ed alla credulità, ma se è ben sicuro che le guardie o non vedano o non vogliano vedere, non rifugge dal vituperare e dal maledire.
Questa si può far credere religione agli sciocchi, ma non a me, non a Lei, Onorando Signore. Opera umana, anzi politica, in cui la fede e il Vangelo non hanno che vedere, va soggetta alle umane vicende. Qua e là queste opere di restaurazione del passato, queste mine scavate sotto l’unità della Patria per tornare al potere temporale dei Papi, non ebbero buona fortuna; ma a Faenza invece ne incontrarono molta. Per quali ragioni e per quali interessi non importa cercare qui, perchè non riguarda alla causa; ma il fatto è che Faenza divenne ed è tuttora, se non il centro, almeno uno dei fuochi da cui partono i raggi del clericalismo militante come partito politico. E il fatto non ha bisogno di prove per chi vive in Romagna. Basta la organizzazione di quel largo