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26 Brani di vita


Guardavo nello specchietto, quando, nel vano dello sportello rimasto spalancato dietro me, vidi entrare un braccio maschile, alla vetta del quale era male appiccicata una manaccia coperta da un guanto di maglia di cotone bianco. La mano teneva una valigetta di cuoio bulgaro con borchie di metallo opaco, e la gettò sul sedile.

Il mio buon amico parlava sempre, ed io pensavo: — Questa manaccia è di un cocchiere o di un cuoco; ma la valigetta di chi sarà?

Venne la spiegazione dell’enigma. Con un cappello alla sgherra, con un abito chiaro ben serrato al corpo, salì in carrozza la mia bella codina.

Benedissi l’amico, le gratificazioni e soprattutto lo specchietto che m’avevano evitato la sorpresa, e così, affacciato allo sportello e parlando sempre, ebbi agio di rimettermi, di dare un’occhiata mentale al mio abbigliamento, un’occhiata speculativa alla barba ed alla cravatta, e di rallegrarmi della felice idea avuta di mettermi i guanti. E pensavo — Dove va? Che ci sia il marito? E se rimanessimo soli? — Ma non sapevo se avessi piacere o paura di rimaner solo con lei.

La locomotiva fischiò, chiusero gli sportelli con fracasso, e l’amico mi salutò urlando il mio nome e il mio cognome. Vidi nello specchio che la mia compagna, sentendomi nominare, alzò la testa e mi guardò retrospettivamente con una certa curiosità. Conosce il mio nome: pensai. Per una codina, non c’è male!