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344 | Brani di vita |
Ma il miracolo non l’ha fatto questa statua nera, di legno d’ulivo; l’ha fatto la Chiesa Romana. Sotto la puerilità del prodigio lauretano, alla quale ora sino i sacerdoti colti e che guardano più in là delle ingorde cassette per le limosine, si ribellano, sta il prodigio dell’organismo rigido che, sovvertendo la fede primitiva, ha obbligato milioni di uomini a chinare il capo qui, davanti a un ceppo mal scolpito, a trascinarsi sopra queste pietre in ginocchio. Il vero prodigio consiste nell’audace astuzia che ha saputo vincere la verità col terrore del futuro e piegare la dura cervice della ragione su questi gradini, colla minaccia di una vendetta eternamente feroce. Il miracolo non sta nella vista che ricuperarono i ciechi, ma nella cecità di coloro che vedono. Il miracolo non lo fa Loreto, ma quelli che fanno credere a Loreto. E mentre pensavamo così, udimmo la nota stridula di un coro stonato.
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Erano pellegrini che venivano chi sa di dove? Forse dagli Abruzzi.
Cenciosi, polverosi, schifosi, salivano le scalinate del tempio in ginocchioni, gridando “Viva Maria!” mentre le rivenditrici chiudevano a furia le vetrine e nascondevano tutto.
Pare che questi piissimi pellegrini, se hanno molti scrupoli nell’anima, ne abbiano pochi nell’ugna, e quando appaiono cantando in fondo alla via, il coro si sente accompagnato da uno stridìo di serrature