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L’ultimo amore 25

Venezia. Volevo vedere un codice alla Marciana e bagnarmi al Lido.

Avevo una bella barba. So bene che questa affermazione avrà dei contraddittori e forse, ahimè! delle contraddittrici; ma avevo una bella barba. Nulla è perfetto a questo mondo, e la mia barba avrà avuto dei difetti; io però non ce li trovavo. Una signora (che lingua hanno le signore!) ha detto che la mia barba era rossa. Ma è possibile? Certo, vista sotto alcune incidenze di luce, aveva dei riflessi fulvi, dei lampi color di rame! ma una barba così non è mai stata rossa. Io sì, potrei dire.... di lei.... ma non sta bene.

Dunque avevo una bella barba. Divisa alla nazarena, folta sotto al mento, mi chiedeva molte cure amorose, ed io gliele prodigava. In quel tempo avevo un pettine tascabile, munito del suo bravo specchietto, e spesso guardavo come stesse di salute la mia barba diletta, e la pettinavo, la lisciavo, l’accarezzavo con affetto paterno. La dite una debolezza? Meglio questa che un’altra.

Ho già detto che era caldo. La stazione era quasi deserta, e, salito in carrozza, sedetti presso allo sportello opposto a quello da cui ero entrato, per non trovarmi poi col sole addosso. Un mio buon amico, impiegato nelle ferrovie, mi chiamò per nome e mi domandò dove andavo, ed io, affacciato allo sportello, mi misi a ciarlare con lui. Mi ricordo, così in nube, che mi parlò di una gratificazione negata, o data a un altro, o press’a poco. Intanto io col pettine mi ravviava la barba.