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Sulle scene 295

tute mi regolavo coi cenni che mi faceva don Gamberini dalle quinte; quel don Gamberini, Dio glielo perdoni, che m’insegnò a far versi!

La sera dello spettacolo fui dunque portato in palcoscenico. Il maestro cercava affannosamente il tesoro e, quando fu presso ad un pozzo di cartone, don Gamberini, alzando al cielo due sterminate braccia, mi dette il segnale. Picchiai sul campanello usando la pallottola come mi pareva più logico, ma il suono era debole. Don Gamberini diceva "più forte" ed io, con un di quei lampi di genio che illuminano le menti privilegiate, rivoltai il martello e cominciai a picchiare dalla parte del manico. Il maestro scese nel pozzo di cartone per trovare il tesoro e don Gamberini mi disse "basta".

Ma io ci avevo trovato gusto e picchiai così bene che il campanello di acciaio si ruppe come il vetro e l’idolo chinese restò privo delle insegne della sua professione.

La conclusione di tutto questo fu che mi punirono colla privazione della cena, e l’infelice debutto mi disamorò dal teatro.

Non ho mai più calcato le tavole del palcoscenico, e l’arte filodrammatica fece così una perdita irreparabile!