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Il Natale nella Lirica 285


Dov’è l’affetto umile e profondo del Benivieni? È possibile passare i confini del buon giudizio in modo da accostarsi a questo madrigale del Petrucci?

Qual maraviglia che sì chiara splenda
     Questa notte beata,
     Se dall’alba e dal sole è illuminata!
     Altre volte l’aurora
     Fugge quando il sol nasce e si scolora;
     Ma in questa che n’uscìo l’eterna prole,
     Tiensi in braccio l’Aurora il suo bel Sole.


No, non si può esser più ebete di così!

Il settecento, il secolo dell’Arcadia inzuccherata, ci dà il Vittorelli che canta Maria come l’Irene delle sue anacreontiche, vale a dire con un sensualismo incipriato, mezzo mondano e mezzo biblico. E queste due quartine di un sonetto a Maria, ricordano, dice il Carducci, una madonna della pittura veneziana in una chiesa del Sacro Cuore:

Io t’amo; e il giuro per que’ tuoi sì begli
     Di tortora idumea purissim’occhi,
     I quai mi stanno innanzi, o che si svegli,
     O che nell’onda esperia il sol trabocchi.

Oh, fossi un angiol tuo! fossi un di quegli
     Che coll’ondoso manto inombri e tocchi,
     O destini a velare i tuoi capegli
     Lucidi più che della lana i fiocchi!


Ma se costui mette un po’ di sensualismo gesuitico nella dolce Maria di Dante, pure in questi versi c’è