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Un’ora di pessimismo 271

più geniale pessimista alemanno lo credette, ma il giorno fortunato è troppo lungi da noi e troppa via dolorosa deve percorrere ancora la nostra malnata razza prima di riposare nel nulla. La suprema gioia che vedrà il mondo, sarà allora quella degli ultimi vecchioni aspettanti tranquillamente la morte nella terra ormai deserta di creature umane.

Come saranno liete le belve non più combattute e le greggie non più decimate! I boschi non temeranno più la scure, o le messi la falce, e i fiori non saranno più recisi per farne ghirlande alle nozze o ai funerali. L’uomo avrà distrutto l’opera del sesto giorno di Dio e morrà contento. Rovini poi la terra che abitammo, rovini verso il punto lontano dove la trascina una forza ignota a dar di cozzo in qualche astro di fuoco, e s’infranga ed ardano e cigolino nel cielo vuoto le faville disperse. Che importa? L’umanità avrà cessato di soffrire.


Oh, Egregio Senatore, come sono piccine le nostre questioni a guardarle dall’alto! In faccia alla immensità, alla inevitabilità del dolore, che cosa sono i nostri sistemi, i nostri discorsi, i nostri libri? È perciò che sino dal principio non le nascosi il mio dubbio intorno all’utilità delle nostre parole. Ma se dubitai dell’utilità, non dubito però del desiderio del bene che muove e infiamma Lei a discutere i più vitali problemi del nostro tempo, con animo retto e solida scienza. È perciò che auguro sinceramente al suo libro buona fortuna, come Ella lo scrisse con animo sincero; poichè ne io nè Lei