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Un’ora di pessimismo 267

fati conducono i volenti e trascinano i nolenti, talchè vano è sperare in lente evoluzioni o placidi tramonti. Come i più non insorgeranno quando della insurrezione sono chiare la giustizia e l’utilità? Manca per ora al socialismo il concorso più largo della donna, indispensabile alla costituzione di una società nuova; ma quando le madri saranno socialiste, i figli si faranno Carabinieri? Ora sentiamo il muggito lontano della fiumana che lenta, inesorabile si avvicina. Fra poco sarà qui e al bagliore livido dei lampi, tra lo schianto delle saette, squarcerà gli argini, invaderà i campi, rovescerà le case e le ville, trascinando tutto nel suo vortice, i cespi di rose e le querce secolari. Non riparo di fuga, non speranza di scampo; e le acque torbide deporranno nel fondo il limo fertile per le colture dell’avvenire. La terra, ampio maggese, accumulerà nuove forze e rinasceranno più ricche le messi, gli alberi, e i fiori. Sul triste passato il tempo stenderà le grandi ali ed al lieto presente il sole darà il sorriso fecondatore. Ma poi, che avverrà?

Vano è sperare in un assetto definitivo e pacifico. La natura stessa impose che l’aspirazione umana non possa aver termine dove stare ed adagiarsi, e la natura non cambia le sue leggi per evoluzioni o rivoluzioni di uomini. Il desiderio è una scala senza fine che l’umanità sale faticosamente da qualche millennio, urlando di dolore ad ogni nuovo gradino. La natura la insegue col flagello insanguinato, cacciandola in alto, sempre più in alto, facendo seguire una nuova aspirazione a quella che fu rag-