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266 Brani di vita

venturo? Vani sono i sogni del collettivismo religioso del Tolstoi o dello Stato socialista del Bellamy, come non meno vane, nell’ambito delle speculazioni politiche, furono la Repubblica di Platone, l’Utopia del Moro o la Città del Sole del Campanella. Inutile l’accumular le ricchezze in poche mani, cercar rimedio nelle chimere della rivelazione, nelle vesciche della filosofia, nei rivoltoloni della politica, nei paralogismi della economia pubblica. Non giovano nuove forme di suffragi, nuovi metodi di governo. Questa fracida borghesia è accecata e chiusa in un circolo senza uscita. Inutile tutto, perfino la rassegnazione e non le resta che accovacciarsi sulle ceneri delle sue inutili ricchezze aspettando la morte.

Ma poi che avverrà? Ora, le aspirazioni dei socialisti seri e colti non mirano che alla soddisfazione di veri ed urgenti bisogni. L’organismo del poi non è chiaro in alcuna mente. Vedono la tavola imbandita e reclamano la loro parte che altri ingoia o sciupa. Chi ha due razioni ne ceda una e non si può dare ai laboriosi senza torre agli oziosi. È strano che ci sia ancora chi pensa e fantastica di rimediare agli abusi negativi senza distruggere i positivi, architettando sistemi per far trovare uno scudo in una mano senza toglierlo da un’altra. Certo, tra i portabandiera dei socialisti ci sono i furbi che aspirano solo a diventar borghesi e vorrebbero le due razioni per loro; ma l’indegnità degli avvocati non guasta la santità della causa. Ma poi, che avverrà? L’istinto del cessare il male presente spinge le masse alla demolizione delle Bastiglie borghesi. I