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Il quarto Sacramento 239

me. Quando parlava, sentivo il tepore del suo alito passare tra i buchi della graticola).

— Ditemi, figlia mia, le circostanze di questo peccato, perchè possa misurarne la gravità. Siete voi stata vana del vostro nome, delle vostre ricchezze o del vostro corpo?

— Di tutti e tre, padre. (Ahi! ahi!)

— E questa vostra colpa si è tradotta esternamente con atti, con sguardi, o con parole?

— Mi accuso di essermi guardata troppo volentieri nello specchio, e... (titubò un poco) specialmente uscendo dal bagno... (Sacripante! Domando io se sono cose da contare a un capitano di cavalleria che fa vita monastica e rimpiange terribilmente l’eterno femminino! Cominciavo a spaventarmi).

— Male, figlia mia. Dio non v’ha dato un bel corpo per compiacenze peccaminose, ma perchè serva a sua eterna glorificazione. (La frase era stupida. Cominciavo a impaperarmi. Avevo una gran voglia d’insistere e di domandare particolari più minuti, ma temetti di eccedere. Ci fu un breve silenzio).

— E sopra il secondo peccato, l’avarizia, avete nulla da dire?

— No, padre, non mi pare d’esservi caduta.

— E... e sopra al terzo... Vediamo: siate sincera. Pensate che quel che affidate al tribunale della penitenza rimane segreto, suggellato con sette suggelli, e riflettete che le domande che vi farò non