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234 | Brani di vita |
Paterniano, beveva spesso e volentieri, preferendo il vino buono a qualunque altro liquido.
Il convento di Monte Stella è sopra un colle che domina la città e il mare. A mezzodì si apre larga e verde una valle, dove il fiume irriga i giardini e i campi, mentre, verso ponente, i monti, vestiti di querce e di castagni, digradano in colore sino a divenire azzurri all’orizzonte. È uno di quei luoghi come i frati hanno sempre saputo scegliere vicino alle città, vale a dire un luogo incantevole.
Il convento, ceduto al Municipio dal Governo, non è fatto per la vita in comune, ma composto di tante piccole casette, una per ogni frate. Così vuol la regola. Ogni casetta ha tre camere e un piccolo giardino chiuso da un alto muro; ma quella che mi fu assegnata guardava la valle e, da quel lato, non era chiusa che da un parapetto, sotto al quale il monte scendeva a picco. Le casette fanno corona alla chiesa, dietro cui sta un magnifico bosco. Tutto questo villaggio religioso è circondato da un muro e non si può entrare se il frate portinaio non apre il cancello.
Padre Romualdo mi accolse proprio come mi aveva annunciato: a braccia aperte. Giunsi la notte ed egli mi condusse subito alla casetta che m’aveva destinato. Volle che mi vestissi subito da frate, mi pregò di parlar poco con gli altri frati (erano tre in tutto e addetti ai servizi umili come la loro intelligenza: il cuoco però conosceva profondamente l’arte sua), di farmi servire da loro senza riguardi e altre raccomandazioni dalle quali credetti di capire che il padre m’avesse fatto passare per un pezzo grosso