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14 | Brani di vita |
scorpioni. Le pareti erano tigrate da grandi macchie scure, vellutate dalla peluria del salnitro e un odore di chiuso, di muffa, di terra bagnata, vaporava da ogni angolo, tra le commessure verdastre dei mattoni. In questo carcere malinconico, tra i lunghi silenzi, la semi oscurità, le funzioni religiose, sotto il cipiglio freddo de’ superiori e la ferula degli abatacci mal creati, tutto ci si poteva chiedere fuorchè uno sbocciare anticipato del cuore, un germinare precoce degli affetti e dei sentimenti. In Siberia non fioriscono le rose: si figuri le palme!
Tuttavia il reverendo signor Rettore, nei mesi di estate, allargava la manica con noi piccini. Il sabato sera ci faceva venire tutti nella sua cameretta, ci trattava a gelati e ci raccontava innocenti storielle di fate. I gelati ci parevano buoni e le storie bellissime, tanto più che il festino coincideva spesso con le ore di studio. In quel tempo io accettava con riconoscenza le untuose blandizie del reverendo Rettore; ma quando coi primi peli mi spuntò la malizia, pensai che quelle smorfie dolciastre avessero un perchè, e sospettai si cercasse l’affezione dei piccini per dominarli poi da grandi. Povero Rettore, come sbagliò i suoi conti!
Ella deve sapere che il reverendo si dilettava di fisica e, mi dicono, con buona riuscita. La sua cameretta era quindi ingombra di macchine d’ogni sorta, mostruosità rigide, problemi d’acciaio e di ottone, enigmi che c’inspiravano una venerazione paurosa. Gli stereoscopi, tuttavia, e le lanterne magiche c’inspiravano migliori sentimenti; preferivamo il caleido-