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Castel Debole | 227 |
ad una nuova aurora e frema alla carezza delle fresche aure serali. Le foglie immobili cominciano ad agitarsi lente lente e il fiume, già fulgido specchio d’argento, prende il color verde degli occhi delle ondine tentatrici. Tutto si risveglia, anche il desiderio.
Le prime ore della notte, col tremulo bagliore delle stelle, con le vampe tiepide e profumate che alitano per la valle, con quel mistero della penombra dove s’indovina un fermento di amore e di fecondità, danno una molle sensazione che pare un principio di ebbrezza. Ai profondi silenzi succedono larghe vibrazioni di voluttà, e passano le lucciole a sciami sulle stoppie arse, cantano gli usignoli nelle macchie, e il fiume mormora gli ineffabili epitalami della notte. Nelle tenebre tiepide si compiono nozze misteriose, e l’amore palpita nel grembo della terra come il sangue nelle arterie dell’uomo.
È allora che il pieno disco della luna si leva e sale diffondendo la sua luce fredda sui campi deserti. Le ombre nere si allungano sui piani argentei e la corrente risplende qua e là di pagliuzze d’oro. Tutto a poco a poco si calma e riposa nella formidabile solennità della notte.
Il povero Manardo sentiva i fiotti del sangue bollente salirgli alle gote ed al cervello. Ebbe le vertigini di chi si affaccia all’abisso e chiese di nuovo la pace alla preghiera.
Proprio sull’ultima sponda del fiume, circondata da pochi salici e da una siepe di carpini, era una sottile colonna di pietra che reggeva una madonnina scolpita. Fu là che Manardo s’inginocchiò, chiedendo