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Castel Debole 225

Su questo, come vedrete, non può cader dubbio; ma benchè non sia difficile capire qual fosse il piano combinato tra Azzo da Panico e Berta da Malfolle per far andare a male la vocazione di Manardo, è curioso il modo con cui l’astuta vedova e la sua bella figlia l’eseguirono.

Da Panico a Castel Forte, anche con le stradacce d’allora, si vien presto e il giorno era ancor alto quando le due donne chiesero ospitalità al pio Manardo. L’ospitalità era esercitata largamente in quei tempi, specialmente tra i castellani che, alla lontana, erano sempre un po’ parenti. Le donne venivano col pretesto di un devoto pellegrinaggio, il giorno era festivo, e naturalmente Manardo le accolse bene.

Furono servite di rinfreschi nella più bella sala del castello.

Tutto il lusso possibile a quell’epoca abbelliva la sala d’onore. La vicinanza della città e le proficue scorrerie del defunto signore contro i castelli guelfi della pianura, avevano fatto di Castel Forte una delle più ricche dimore del Bolognese.

La graziosa figura d’Elda, in cui fioriva tutta la solida e plastica sanità montanina, spiccava superbamente sulle pareti brune, rivestite di quercia scolpita e di cuoio. I suoi grandi occhi, un po’ sorpresi dalla novità delle cose e delle facce, si fissavano negli occhi del pio giovane coll’ardimento ingenuo dell’adolescenza, e le labbra, il cui roseo turgore tradiva il destarsi della sensualità, si aprivano spesso a un sorriso inconsciamente procace. Ogni moto della giovinetta aveva l’eleganza tentatrice, la morbidezza