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216 | Brani di vita |
quietudine del maggiore che tentava una sorpresa che poteva fallire per mille casi imprevedibili dalla prudenza umana, e la capivo tanto bene, che ero inquieto, eccitato anch’io, come se la responsabilità fosse anche mia, come se dalla nostra vittoria dipendesse qualche cosa di grosso. È inutile sorridere. Al giuoco si parteggia e si scommette per un giocatore, al teatro si piange o si ride di un personaggio e de’ suoi casi, e si può bene riscaldarsi per la riuscita di una manovra, come mi riscaldai io che mi misi tutto a disposizione del mio maggiore.
Eccoci dunque al trotto verso Miserazzano, e il vostro devoto servitore avanti a tutti. A un certo punto luccicarono tra gli alberi alcune baionette. — Maggiore, — gridai, — qua c’è dei soldati! — E il maggiore, ritto sulle staffe, aguzzando gli occhi sotto la visiera del pentolino, rispose quasi seccato: — Niente, niente. Sono dei nostri. — O che lo sapeva io che c’erano arrivati per un’altra strada? Un po’ mortificato ripresi il trotto e così trottando entrammo tutti pel cancello della villa. Il giardiniere sbalordito mi riconobbe e, poichè la guerra non esclude sentimenti generosi, lo avvisai che dicesse alle signore di spalancare tutte le finestre. Con le cannonate in prospettiva, poveri cristalli!
Mettevano i cannoni in batteria, e dal parapetto guardai giù nella valle. Che calma solenne! Proprio il silenzio dell’ora meridiana. Pareva che le case sonnecchiassero, mezzo nascoste dagli alberi, e nella strada bianca che serpeggia lungo il fiume non si vedea muover nulla. L’acqua della Savena a quella