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Guardia Nazionale 167

ed i borghesucci si stancheranno di far la parte dei bastonati e contenti. E allora?

Così ho visto la Guardia Nazionale allo stato latente. L’ho vista poi allo stato trionfante.

Nel 1859 ero in collegio. I preti hanno questo di buono, che sanno conciliarsi il rispetto dei loro allievi. Infatti, al rumore della battaglia di Magenta, io ed i miei condiscepoli insorgemmo come un collegiale solo e colle scope, le molle, le sassate ed altri persuasivi argomenti, cacciammo il tiranno aborrito. A cose più quiete, io, come uno dei capi, fui gentilmente pregato a levare l’incomodo, e mio padre, cui non pareva vero, mi condusse a Torino. Là vidi la Guardia Nazionale all’apogeo della sua fortuna.

A prima vista, però, non mi fece buona impressione. Molti se li ricorderanno ancora, i militi che per Doragrossa andavano a suon di banda al cambio della guardia. Allora a Corte accettavano ancora i servigi dei poveri militi, senza badar troppo alle incongruenze del vestiario. C’erano i calzoni larghi alla francese accanto ai calzoni stretti del quarantotto, le tuniche lunghe fino al ginocchio vicino alle tunichette misere ed arrossite in testimonianza dei molti e leali servigi.

I cheppì erano di cento forme, dallo staio napoleonico al cono tronco degli ufficialetti eleganti. I pennacchi poi erano di tutti i colori dell’iride. Allora la Guardia Nazionale la chiamavano ancora il Palladio delle istituzioni, le facevano la corte, le davano la destra nelle riviste. Ne avevano bisogno dei po-