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166 | Brani di vita |
chè mi fosse tenuto segreto il nascondiglio; e quella sciabola nascosta mi ispirava un misterioso rispetto, come un nume invisibile e presente. Il portare in me qualche cosa di un segreto pericoloso, mi faceva insuperbire: mi pareva di essere a parte di una congiura tenebrosa, di una macchinazione fatale. Ricordo benissimo che mia madre, quando ero buono, mi premiava mostrandomi le spalline dorate del babbo, e non era certo in casa mia che i colombi avrebbero fatto il nido nell’elmo di Scipio.
Eppure in casa non c’era nessuna tradizione militare. Il mio povero babbo non fu che un ignoto farmacista di villaggio, uno di quei farmacisti militi che hanno poi dato tanta materia alle caricature imbecilli ed ai motti scellerati. Ma in quelle umili case, dove non si convitavano i generali tedeschi come in certe altre, si aspettava sempre la risurrezione, si teneva vivo il fuoco sacro, quel fuoco al quale ora gli anfitrioni dei croati riscaldano il pranzo ed accendono la sigaretta.
Come ghignano, come hanno ghignato i nobili conti e le nobilissime marchese di questi poveri diavoli che alzarono col suffragio loro questa baracca, all’ombra della quale è lecito oggi sognare le ineffabili felicità di una chiave di ciambellano o di una patente di dama di corte! E sono i poveri farmacisti beffati, i poveri borghesucci messi in ridicolo, che hanno dato denari e braccia, entusiasmo e buona fede per fare una Italia costituzionale. I nobili conti, le nobilissime marchese rideranno tanto, i valletti ed i parassiti faranno tanto ridere, che finalmente i farmacisti