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Le poesie di Angelo Viviani | 141 |
che questo curato era liberale, unitario ed ammiratore della breccia! Vi parrà impossibile, ma fu vero purtroppo per me, che dovetti sorbirmi una nuova esposizione di principii. Ne disse di quelle che, se la Curia lo avesse sentito, lo avrebbe sconsacrato lì, proprio nella sala della locanda.
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Ma più di tutto era furibondo contro ai seminari. — Ci prendono bimbi, c’imbottiscono di sciocchezze — (e additava le bozze del suo amico), — ci tengono chiusi come frati in un’atmosfera artificiale come i poponi nelle stufe, ed un bel mattino ci ungono come un paio di stivali di vacchetta e ci mandano per bosco e per riviera. Arriviamo nel mondo colle nostre idee del seminario e troviamo che non sono altro che buffe. Tentiamo di cambiarle, di studiare, di capire il mondo in cui dobbiamo vivere, ma abbiamo sempre un filo legato al piede, siamo sempre tenuti d’occhio come gli ammoniti. Lo stigma del seminario non si cancella più dalla nostra fronte, ed è vero il detto: Semel abbas semper abbas. Quando la Chiesa ha afferrato una volta la sua preda, non la lascia più. Ci destiamo un bel mattino al bivio o di apostatare per essere odiosi a tutti, o di essere ipocriti per essere accetti da tutti. È troppo naturale che la umana debolezza scelga quest’ultima strada, ma perdìo — (disse proprio perdìo chiaro e tondo) — ci pesa il batterla e la colpa è tutta di quelli là.
Qui il curato tese il dito in direzione nord-ovest,