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136 | Brani di vita |
per caso la mia presenza all’albergo, e che aveva voluto procurarsi l’onore ecc. ecc. Aveva un vocione robusto come le spalle e certi scoppi di voce che facevano vibrare i cristalli. La salute e la vita traboccavano in lui e non l’avrei certo consigliato per confessore alle damine che soffrono di debolezze. Sicuro di sè dopo due minuti di conversazione, piantato energicamente sulle gambe muscolose e sui piedi da montanaro, gestiva largamente, franco come chi non teme ostacoli e non sa che sia la paura del ridicolo. Sarà un buon curato, non dico, ma, a prima vista, non ricordava le macerazioni dei perfetti servi di Dio.
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Dopo i primi complimenti tirati a bruciapelo, saltò a parlare di scuole poetiche. Ne parlava ruvidamente, con idee vecchiotte, reminiscenze forse del corso di rettorica fatto in seminario, ma con una schiettezza cui sono poco usati i critici di mestiere. Ricordava il tipo del bello, la verità eterna e tante altre cose che ora non si ricordano più e, di quando in quando, puntava le mani aperte sulla tavola con certi "che ne dice lei?" baritonali e sonori, senza attendere la mia risposta. Poi s’imbarcava di nuovo ne’ suoi ragionamenti antiquati, di dove scoppiettava qua e là qualche idea bizzarra o ingenua, con una foga di uomo convinto e militante che mi maravigliava.
Mi maravigliava e m’imbrogliava. Che diavolo voleva egli da me? Per grande che sia la mia pre-